Un paio di settimane fa, mi sono
guardata “Cleopatra”, il film datato 1963 con Liz Taylor nei panni della regina
egiziana, e Richard Burton in quelli del condottiero Marco Antonio.
locandina del film "Cleopatra" |
L’Egitto diventa la destinazione
ultima di Pompeo, che cerca aiuto nel Faraone Tolomeo XIII dopo la sconfitta
nella battaglia di Farsalo. Il Romano fa male i suoi conti, la sua testa
diventa un regalo (non gradito) per Giulio Cesare, che si reca nel Paese
nordafricano per cercare di recuperare prestigio e soprattutto raccolto e
rapporti commerciali. Il regno si trova ahimè alla merce di due sovrani imparentati
fra di loro, capricciosi e molto, troppo giovani:il già citato Tolomeo, e la
sorella di lui, la regina Cleopatra.
Giulio Cesare si guarda intorno,
brucia la flotta egiziana e la biblioteca di Alessandria, suscita le ire della
regina, la seduce, detronizza il fratello, e la cinge della corona dell’Alto e
del Basso Egitto. La regina Cleopatra diventa la sovrana dell’Egitto, Granaio dell’Impero Romano. Il resto, lo
conoscete.
Ma si sa, i Romani, si stancano
in fretta. Delle donne, degli schiavi, del cibo. Esauriti i primi due, ed alla
ricerca di nuovi terreni per mantenere la Roma già Padrona e ladrona allora, anziché
dirigersi verso un nuovo continente, per loro è più facile darsi un'occhiata intorno, verso il Mediterraneo, quel Mare Nostrum, da cui partì la loro
grandezza.
Scovarono allora una piccola
isola, di circa 80 km quadrati malcontati, con una vegetazione tipicamente mediterranea,
un mare cristallino, meno appariscente delle isole vicine, più grandi e perciò meno
adatte ai loro scopi. Un lembo di terra estremamente fertile, grazie all'acqua
proveniente da falde acquifere ormai prosciugate da tempo, facilmente
controllabile e ricca di frumentum,
di cui divenne granaio e deposito, e da cui l’isola prese il nome con cui è
conosciuta ancora oggi: Formentera.
posizione geografica |
Tutti conoscono Formentera. Non perché
ci siano stati, ma perché tutti ne hanno sentito parlare, almeno una volta. E’
la meta di vacanze di personaggi famosi. E’ la meta ideale per scorrazzare in
scooter. E’ la meta di hippies nostalgici. Nuoti nelle sue acque, e ritrovi i
Caraibi nel Mediterraneo, senza fare troppe miglia aeree, e senza problemi di
lingua. Se ti siedi in un bar, la prima domanda che ti viene fatta è “Italiano!?”.
Tutti i posti sono stati
scoperti. Tutti gli angoli, esplorati. L’isola è tutta lì. Non si nasconde, è
sincera.
Non troveremo un Buddha sotto il
mare, non troveremo l’Arca di Noè sotto la sabbia. Quello che non c’è, non lo
possiamo inventare. Ma è proprio quello, il bello.
Il bello di aver mantenuto un po’
della sua poca appariscenza. Tutto c’è, basta saperlo trovare.
La strada che dal centro porta
verso Cap de Barbaria, nell’estremo
sud- ovest dell’Isola, è un lungo pseudo-rettilineo, delimitato da mura basse e
fieni cotti al sole, che porta ad un luogo isolato ed impervio da cui usavano
avvicinarsi le imbarcazioni dei Pirati. Il faro, alto 18 metri, domina la
veduta a strapiombo sul mare.
Cap de Barbaria |
Per la strada è difficile trovare
qualcuno, specialmente se la si percorre nel tardo pomeriggio. La maggior parte
della gente si attarda al mare, e chi non cede alla tentazione e strappa
qualche minuto all’abbronzatura, riesce a ritagliarsi un pezzetto di
solitudine, respirando la sensazione di essere un puntino su quella cartina che
tieni spiegazzata nel sellino dello scooter.
Faro di Cap de Barbaria |
Dall’altra parte dell’isola, il
piccolissimo villaggio di pescatori di San’t Agusti, il cui nome lo si deve
alla presenza di un antico monastero, di cui oggi non vi è più traccia. Unico
porto mercantile dell’Isola, in cui si vedono le imbarcazioni tirate in secca,
che si prestano a fotografie dal sapore retrò, circondate da promontori rocciosi,
il mare turchese, poco trambusto perché il chiosco è uno solo, i granelli di
sabbia tanti, molti finiti fra le dita dei piedi, altrettanti sulla schiena
mista alla crema solare, alcuni, speriamo pochi, sul tappo della bottiglietta d’acqua
che mi sono portata dietro, e che ormai è calda.
barche in secca, Es Calo |
Una volta, a fine vacanza, si compravano
le cartoline, minuti eterni indecisi a scegliere quelle che ci rappresentassero,
istantanee color seppia o dai toni brillanti. Ma chissà perché, sembrava che
quella perfetta non ci fosse mai, quella che rappresentasse lo spirito dei
nostri giorni che speravamo indimenticabili. Quante ne abbiamo comprate…una,
dieci, cento. Quella più bella, distorcendo quello che scriveva Hikmet, è quella
che non abbiamo comprato, perché nascosta nello scaffale dietro, caduta mentre
rovistavamo, soffiataci sotto il naso dal cliente in fila alla cassa davanti a
noi.
Come dicevo, tutto c’è, basta
saperlo trovare. E soprattutto, vedere.
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