lunedì 10 marzo 2014

ti farò male come un colpo di pistola / questo è quello che ti meriti

Il K. è come una prostituta. Ti sbatte in faccia la sua parte migliore. Il suo posteriore, il suo mare, le sue palme da cocco. Anche se a dirla tutta è una prostituta da quattro soldi, perché ti accoglie con un top sfavillante certo, tutta truccata e agghindata, ma in mezzo alle sterpaglie, con l’odore del falò che è stato acceso per avere un po’ di luce che penetra nelle narici, ed impuzzolisce i vestiti.

Ma questo la maggior parte della gente,  diciamo gli stranieri, diciamo un 80% di italiani, non lo vede. Costruisce le case in mezzo alla miseria. Sotto il sole, e girano i pannelli solari che progetto, e si spezzano le schiene di quelli che sotto il sole lavorano.

Un Paese, questo K., in cui tutti vogliono tornare ed a distanza ravvicinata lo fanno veramente, una- due- tre- sei volte in un anno. A ripetere gli stessi gesti, a sporcarsi le mani con la stessa sabbia, a comprare gli stessi batik. A ripetere che questo è il posto più bello del mondo.

Alba sull'Oceano Indiano

Vero, se si pensa che questa costa in particolare, quella di Watamu, è stata definita fra le 9 più belle spiagge dell’Africa.

Vero, se si pensa che quando il sole splende, e la marea è bassa, l’acqua è azzurra, e sembra un angolo di Paradiso in terra.

Vero, se si pensa al sole che si spacca fra le palme, e si scioglie come burro.

Vero, se lo vedi con gli occhi di qui viene, ruba un po’ di sole, e va.

Falso, se lo vedi come uno che qui ci è nato, vede il sole che gli viene rubato, e resta.

Questo è il posto più piccolo e polveroso del mondo, se lo vedi con gli occhi di uno dei 70 bambini che vivono alla Faith Community Children Home, orfanotrofio a circa 20 minuti di distanza da Watamu, e poche curve prima di Malindi.

Si entra da una via secondaria, assolutamente uguale a tutte le alte, che si riconosce perché c’è un grosso campo da calcio.

Curve, sterrato e si balla per qualche secondo. Si passano catapecchie, catapecchie, panni al sole, e catapecchie. Mi aspettavo un casermone nel mezzo del casino della città.

Invece ho trovato un grosso appezzamento di terreno con edifici scarni e sparsi qui e là.

Mentre aspettavamo che arrivasse il Pastor, che si occupa di queste povere anime, mi sono avvicinata ad un gruppetto di bambini minuscoli che mi guardavano da dietro la chiesa.

chiesa sulla sinistra

Mi sono avvicinata, ho detto “Jambo, my name is Elena”, ma nessuno mi ha risposto. Tutti mi avevano capito, ma mi hanno guardata con le bocche chiuse, muti. Il bambino alla mia destra mi guardava, e giocava con una piccola ruota in plastica ed un frutto giallo, che sono finiti a turno nella sua bocca e poi per terra, mentre le sue dita cicciotte tracciavano linee sottili sulla terra. Ho preso a pretesto queste linee, fingendo che fossero belle, perché ho sentito che mi veniva da piangere, mi conosco, mi prude il naso, e non tengo aperti gli occhi. Piangevo perché non vedevo assolutamente nulla per loro. Per il loro futuro. Come essere assuefatti ad uno sparo nell'aria, e manco avere la forza per girarsi. Ma mai piangere di fronte ai bambini, che questo proprio non lo capiscono, me lo avevano detto. Ho tirato sul con il naso, in silenzio, ed ho alzato la testa. Ho sorriso, e questa volta il bambino mi ha messo in mano la piccola ruota sbavata ed è corso via, seguito da tutti gli altri.

esterno dell'orfanotrofio

I bagni, che sarebbe meglio definire quasi latrine, la grossa chiesa al centro con solo l’altare e due vasi sottili ai lati con colorati fiori di plastica. Ovviamente inutile dire che non c’è pavimento, solo nuda terra.

bagni
Le camere da letto, che non ho voluto fotografare assolutamente perché mi sono vergognata, terra a parte, chissenefrega, ma i bambini dormono su materassi che sono stati girati troppe volte, direttamente sulla terra appunto o su mucchi di assi in legno sparsi (e non so cosa sia meglio). Che poi, diciamo, camere da letto, quattro pareti e due materassi sporchi e polverosi.

In mezzo, gli alberi, ed un campo da calcio, le cui porte sono costituite da due pali di legno.
pile che si caricano al sole

I bambini vanno dai 2-3 anni fino a 15-16. Alcuni sono orfani di entrambi i genitori, alcuni li hanno ma non possono essere mantenuti, altri ancora vivono con le famiglie all’interno di questa comunità.

Vanno a scuola a piedi, vivono della carità di altri, e dagli altri dipendono per tutto, dalle tasse della scuola, all’ugali (polenta) che mangiano ad ogni pasto. Vestono vestiti laceri di altri, che sono ormai a brandelli.
Abbiamo portato dei soldi, compreremo loro dei materassi, d'accordo con il Pastor. E non lo dico tanto per dire, lo dico perchè qui ogni dito può smuovere una montagna.

I ragazzi grandi hanno improvvisato una partita di calcio, corrono, sudano, si divertono.

partita di calcio

Io ero con i piccoli, abbiamo tifato, cantato i cori, fatto le foto.

Come tutti i bambini, diventano piccole star, se messe di fronte all’obiettivo.


foto di gruppo, e questa la lascio grossa


E non sono mancate le canzoni locali, con tanto di coreografie accennate.

video cantato

Le bambine erano attirate dai miei tanti ed ormai lunghi capelli schiariti dal sole, mi hanno fatta sedere sulla sedia, e mi hanno fatto un’acconciatura da loro definita “fashion”. Tante le smorfie fatte, mentre loro ridevano, mi tiravano i capelli annodati, lisciandoli e toccandoli con le mani impolverate.

Mentre ero seduta a farmi pettinare, hanno voluto rivedere il video che avevamo fatto poco prima. Lo abbiamo visto circa 7 volte. Continuavano a schiacciare “play” sul telefonino, spingendosi l’un l’altro per vedersi, riconoscersi, toccare lo schermo.

Un groviglio di teste che si toccavano, sudore, mani sporche di polvere, nasi pieni di mango e muco, che ho tentato invano di pulire, dita che si muovevano frenetiche, maglie che si slabbravano, futuro che si è fermato in un eterno presente.

Presente che è un costante chiedere soldi, perché non bastano mai, come la fila di mani che ho cercato invano di ordinare per dare loro le caramelle (una mi raccomando, perchè poi i denti non si possono curare), un ammasso di occhi che ti guardano e ti scrutano, e ti chiedono, sono bambini, mangiano ma non crescono, solo i carboidrati non bastano, come l’acqua, perché secondo te si laveranno dopo la partita di calcio, no, resteranno seduti sulla sedia ad aspettare che il sole secchi i loro umori, mentre ascoltano la musica da uno stereo scassato, e scimmiottano i rapper americani che chissà come conoscono, o forse è solo un caso. Vorresti stritolarli in un abbraccio, e portarteli via, e non ti voltare mentre te ne vai, meglio coprirti gli occhi con gli occhiali da sole, e non vedere che ti si aggrappano al finestrino della macchina, corrono a perdifiato fino a spellarsi i piedi, meglio che non vedano che ora lo sparo lo stai sentendo, e ti vuoi fermare per pigiarli in macchina, e portarli tutti via, tutti quanti, tutti insieme.

Siamo tutti di passaggio, su questa terra, di questo sono convinta.

C’è chi il passaggio lo ha più facile, c’è chi nasce già con la sfortuna addosso prima ancora di uscire dalla pancia.


Perché se per caso inciampi in tutto questo, in questo mondo che tanto è e sarà sempre di serie B, allora questo K. ti fa proprio schifo.

1 commento:

  1. grande baudy...anche io ho provato emozioni simili andando in una casa-famiglia in periferia di delhi: c'erano solo bambine, dai 2 anni ai 15, allontanate dalle madri perchè sennò sarebbero state destinate a lavorare fin dai 7-.8anni come prostitute

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