Quest’anno ho imparato che non è
mai troppo tardi. Che mai dire mai. Che molte volte sei tu ti che porti via le
cose. Invece a volte ti portano via loro.
L’altra notte mi sono fatta
portare via da un bagiagio. Nome
volgare per un mezzo di trasporto in realtà molto nobile, il bajaji, termine swahili per intendere
una moto da un numero indefinito di posti, (roba che in Grecia o nel nostro
Meridione sono dei principianti), usata dai kenioti per spostarsi da un posto
all’altro spendendo circa 100 scellini (1 euro).Tutti rigorosamente senza
casco. E quindi, in un posto in cui viaggiano senza casco ed ogni tre per due
salta la corrente, a mezzanotte mi sono presa il bagiagio anche io. Cosa c’è di meglio di una musungu che si prende il bagiagio, e per salirci deve tirarsi su la
gonna rimanendo quasi in mutande? Di meglio, nella parte di mondo di serie A,
un infinità di cose. Da questa parte dell’ Equatore, praticamente nulla. Mi
porti via con te, per cento scellini?
Prendo il bagiagio, mi attacco al
portapacchi. Partiamo. Il motore fa lo stesso rumore delle palline che si
muovono nell’urna prima che la mano di un bambino bendato estragga quella
giusta. Non si vede nulla, i colori si muovono tra il grigio scuro, il nero ed
il grigio cenere. Non vedo niente, è una bella sensazione. Bello sentire l’aria in faccia, gli occhi
chiusi, le zanzare che non hanno tempo. L’aria in faccia, non vedere il nulla,
i capelli che ti finiscono sulla bocca. L’aria in faccia, la camicetta che si
allarga come un palloncino. Ed ancora l’aria in faccia, e la tua sicurezza nel
guidare. E la mia consapevolezza che se cado, me la sono cercata. Mi porti via
con te, anche senza casco?
I kenioti non hanno ritmo nella
vita, ma ce l’hanno nel ballo. Lo si vede al Come back, famoso locale di
Watamu, in cui le donne diventano donnine, gli uomini diventano lupi, le mie
pantofole rimangono fuori, e diventano infradito colorate fatte di perline,
come si usano qui, e che non riesco a trovare. Diventano un sedere che
sculetta, un viso col trucco che cola, una bottiglia di Tusker, birra locale
sorseggiata al bancone, per evitare di parlare, evitare di pensare, senza
respirare. Mi porti via da qui?
Ti porto alle rovine di Gede,
cittadella dicono abitata dai fantasmi, una volta abitata invece da ricchi
arabi dentro le mura, in case di corallo, fuori i poveri, in case di fango e
palma di cocco, fuori le mura, in mezzo alla foresta pluviale, in mezzo agli
animali. Città che ha visto un susseguirsi ed incroci di portoghesi, capitanati
da Vasco Da Gama (che si è meritato un bel monumento bianco a Malindi), di
monete cinesi, di incursioni somale, per poi finire abbandonata nel 1400 forse a causa delle cose che ti portano via, forse a causa di un fiume
che ha cambiato il suo corso, e che si è portato via con sé la vita.
Mi sono fermata al chioschetto,
ho comprato per me e la guida una coca (guida privata, per me e me stessa,
perché qui io e me stessa ci trattiamo bene). Mi sono seduta sulla panca. E
c’era questa bambina che mi guardava. Testa quasi rasata, vestitino rosa
cangiante, una bella macchia di sugo credo vicino al collo. Le ho chiesto come
ti chiami, mi ha detto asante,
grazie. Ho dato per scontato che sapesse l’inglese, ma non aveva capito nulla. Si
chiama Betty, nome inglesizzato per un equivalente swahili che mai saprò. Mi ha
guardato, il collo come le modelle del Modigliani. Continuava a non capire
nulla, entrava ed usciva dalla cucina, e portava il ketchup sui tavoli. Poi è
tornata a sedersi e mi ha sorriso. Non un sorriso perfetto, ma un sorriso che ti
avvicina, un sorriso che tira un sorriso, come i baci sulle palpebre, come le
ciliegie, un sorriso che se ti domando “Mi porti via con te?” , scommetto che
dici si.
I due denti davanti separati da
uno spazio. Tutt’altro che minuscolo. Un gran bello spazio. Dente spazio dente.
In quello spazio ci passa la punta della lingua. In quello spazio ci passa un
respiro. In quello spazio ci passa la barca col fondo di vetro per fare lo snorkeling
a Malindi, sempre che non piova a Nairobi, che altrimenti non si vede un tubo.
In quello spazio ci ho visto tutto l’anno che sta per finire, l’anno delle cose
che ti portano via.
In quello spazio c’è la cosa che ti porta via quando ti
dicono che sei brava, ma siamo spiacenti. E’ lo stesso spazio che hai occupato
tu, testa bassa e pronti a combattere, perché le battaglie si vincono insieme, mi facevi passare dal piangere al ridere nello spazio di un niente, hai sempre avuto questo potere, per poi mollarmi sbiadita ed inutile con gli occhi pesti per il troppo pensare. Sono cose quelle, sì che ti portano via.
In quello spazio di dente spazio
dente ci ho visto i cocchi per terra, i cocchi di Watamu, i cocchi che ho
bevuto sul fiume Pampa, in Kerala.
Dente spazio dente. Quel famoso biglietto di sola andata che ti porta via.
perché del cocco si porta via tutto (distese di cocchi sulla strada per Guede) |
Dente spazio dente. Quel famoso biglietto di sola andata che ti porta via.
Dente vita dente. Quello che
quest’anno mi ha portata via, mi ha portata qui.
Dente vita lingua dente. Quello
che vuol dire aprire le persiane.
Dente pensieri scrittura dente. Capire che non hai paura delle parole, che hai
voglia di farti portare via da loro.
Dente parole dente. Riconoscere che se quest’anno nessuna crisi mi
ha portata via, un po’ lo devo anche a loro, perché le parole, intendo quelle
che senti veramente, che siano dette, urlate, sottintese, o semplicemente
scritte su di un blog nato così, per caso, fanno proprio bene.
E visto che mi fanno bene, e come
dico sempre, sono la persona con cui dovrò convivere per il resto della mia
vita, ecco quello che mi auguro per il nuovo anno,-il“mi” deve essere inteso
come ognuno di voi, perché questo è l’augurio che faccio a tutti.
Non mi auguro tutte vittorie, le
sconfitte servono a crescere. E ad abbassare la cresta.
Non mi auguro solo fortuna, quella mi bacia quando vuole lei.
Non mi auguro solo fortuna, quella mi bacia quando vuole lei.
Non mi auguro di essere sempre
felice, perché tanto so già che non sarà così.
Non mi auguro di trovare l’amore,
quello verrà quando meno me lo aspetto.
Non mi auguro tutti sorrisi,
perché ci saranno lacrime, quelle che il mal di testa ti porta via.
Non mi auguro un paio di
ciabatte, perché la strada è ancora lunga, meglio munirsi di scarpe robuste.
Mi auguro invece di camminare
sempre a testa alta.
Mi auguro invece di avere sempre addosso la serietà che
mi hanno insegnato.
Mi auguro infine di fare quello che ritengo più giusto, sempre. Perché farlo vuol dire essere liberi (ed intendo libertà di azione e soprattutto di pensiero), che è la cosa più bella di tutte.
Mi auguro infine di fare quello che ritengo più giusto, sempre. Perché farlo vuol dire essere liberi (ed intendo libertà di azione e soprattutto di pensiero), che è la cosa più bella di tutte.
Ciao 2013, indossa il tuo sorriso migliore, e metti in scena il tuo ultimo atto, vieni, ti porto via con me.
vi porto via con me |
Auguri, a tutti voi, per tutti
voi, da tutta me.
E.
Auguri di cuore anche a te Elena! un abbraccio
RispondiEliminagrazie famiglietti. io ti porto via con me, anche l'anno prossimo!
EliminaPriceless!
RispondiEliminaA gran voce ti consigliamo pero' un casco, vedi il caso Shumacher.
ahahahhahaha vero. ora me lo faccio fare in legno di cocco ahahahah.
EliminaUn mare di auguri Elenuzza.. ed un abbraccio gigante!!!!!!
RispondiEliminaAuguroni! una abbraccio :)
RispondiEliminaCiao Barbara, un abbraccio anche a te, ed al pancino (o pancione?).
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